Sa cassa

Sa cassa

Disegno grafico "sa cassa" ; Dal sardo, la caccia come simbolo di conquista.

Storia del disegno più antico dell'umanità

Le prime rappresentazioni grafiche di figure zoomorfe e antropomorfe risalgono al Paleolitico, fin da quando l’homo sapiens riproduceva con simboli e segni, immagini di animali e uomini in movimento narrando episodi di vita quotidiana tramite pitture e graffiti sulle pareti di roccia, nelle grotte e sulla pietra.

Le figure maggiormente riprodotte erano bisonti, animali selvatici e scene di caccia.

 Quest’ultimo è il soggetto maggiormente riprodotto nell’epoca preistorica e nel corso del tempo è stato riportato poi sui quadri, sui tappeti e sugli arazzi.

Il disegno ha poi acquisito un valore simbolico a seconda della rappresentazione dei soggetti. Talvolta animali reali e altre volte animali fantastici, come nel ciclo dei sette arazzi rinascimentali della famiglia Rochefoucauld.

 In Sardegna, per esempio, sugli arazzi a pibiones viene riprodotta tuttora la scena in cui uomini a cavallo o senza, danno la caccia con i cani al cinghiale, o al cervo.

 L’interpretazione di queste figure è discussa e varia da quella magico – simbolica, legata a riti religiosi di tipo sciamanico, a quella di figure fatte prevalentemente per riportare e documentare scene di vita reale a quelle di semplici atti creativi da parte dell’uomo.

L’atto della caccia in sé è stato molto importante per l’umanità in quanto patrimonio di tradizioni e di passioni, è una delle dimensioni che più esprimono il legame con il territorio, con l’ambiente, con le proprie radici culturali. Da sempre molto radicata nella vita quotidiana, ha dato un grande contributo all’arte, alla cultura, alla scienza, italiane ed europee.
Pratica di sopravvivenza, finalizzata all’approvvigionamento di carne e alla difesa dalle fiere, la caccia era parte determinante dell’esistenza e della cultura delle civiltà proto-agricole e dei popoli nomadi. Era scontro diretto con le durezze della vita, lotta contro i pericoli e contro il farne, rischio di morte. La raffigurazione delle belve o delle scene di inseguimento e di cattura assumeva un significato rituale, simbolico e propiziatorio. Le scene riprodotte all’interno di grotte, incise sulla pietra nei pressi di luoghi di culto, stilizzate su ornamenti e armi, erano mezzi per scongiurare magicamente l’ostilità della natura, oppure celebrazioni rituali della forza del cacciatore, che assumeva un significato sovrumano e metatemporale.
Spesso le stesse divinità erano rappresentate come animali, personificazioni delle forze oscure del mondo.
Nell’area mediterranea e in quella italica, il graduale passaggio all’epoca storica coincise con una progressiva trasformazione dei simboli venatori. Ai loro significati più antichi se ne sovrapposero altri, più forti, legati alla mitologia greco-romana e alla simbologia della Bibbia, che collocava anche la caccia in una prospettiva di redenzione universale.
Magia e divinità in mezzo ai boschi
Fra le prede di caccia, il cinghiale e il cervo sono gli animali riprodotti più frequentemente nell’arte e nell’oreficeria dei Celti, per i quali le abilità venatorie si identificavano con il valore guerriero e, di conseguenza, con il raggiungimento dei vertici della gerarchia sociale.
Il cinghiale era identificato con il druido per la sua vita solitaria nella foresta. La femmina, circondata dai cuccioli era rappresentata mentre scavava la terra ai piedi del melo, albero dell’immortalità. Era simbolo del potere spirituale sconfitto nella caccia da quello temporale, della vittoria dei guerrieri-cacciatori sulla casta sacerdotale, portatrice di pace e di armonia con gli elementi del mondo.
Il cervo evocava longevità e abbondanza. Era riprodotto sui talismani apotropaici in osso e corna indossati in battaglia e durante le battute.
Cernummus (“colui che ha la cima del cranio come un cervo”) era la divinità zoomorfa più importante del pantheon celtico, signore degli animali, alleato e protettore degli uomini valorosi. Da questa centralità nella cultura celtica derivarono alcuni topoi figurativi e letterari medievali di significato prettamente religioso. Nella leggenda, san Patrizio, evangelizzatore dell’Irlanda, trasformò sé stesso e i suoi compagni in cervi per sfuggire alle imboscate del re pagano Loegaire. Sant’Umberto, oggi patrono dei cacciatori, mentre era impegnato nel difficile inseguimento di una preda nell’intrico di una foresta, vide apparire la croce redentrice proprio fra le corna di un cervo.
La raffigurazione di questo animale poteva assumere anche riferimenti al Cristo stesso, perché si riteneva che soffiando con le narici nelle cavità del terreno facesse uscire i serpenti, simboli del male e del peccato, e poi li uccidesse.
La “grande caccia” e i rischi della lotta con le fiere finivano, invece, per identificarsi con l’eroismo dell’uomo minacciato dalla potenza della natura, dando luogo a una serie di interconnessioni con il patrimonio della mitologia greca e mediterranea.

 Nell’arte e nella letteratura si caricava di riferimenti al divino e alle passioni più forti dell’umanità.

Il cacciatore assumeva, di volta in volta, il ruolo dell’eroe che liberava greggi e villaggi dagli assalti delle fiere (Orione), o del guerriero che si esercitava ad usare l’arco contro i leoni per poi dimostrare il suo valore in guerra (Achille); era l’inseguitore caparbio e sognatore di prede irraggiungibili e favolose che lo conducevano attraverso regni sconosciuti (Teseo), o lo sfortunato e bellissimo amante ucciso da un cinghiale per la gelosia di un dio (Adone), diventava l’indomito lottatore contro la malvagità degli dei e delle dee (Ercole), o l’innamorato che cede la pelle del cinghiale ucciso alla bella Atalanta che l’aveva colpito per prima (Meleagro), oppure l’impudente scopritore della nudità di Diana, da lei punito nel modo più crudele (Atteone).

Lungo i secoli, immagini e miti venatori greco-romani si contaminarono e si sovrapposero, fino a confluire nel sistema di simboli del Cristianesimo, che attribuiva alla figura del cacciatore il significato della grazia e dello sforzo morale che cerca di uccidere le tentazioni e i vizi, rappresentate da lepri, leoni, istrici, orsi.

Viceversa, quando, la preda era rappresentata da un cervo o da un gallo, si riferiva alla figura di Cristo e gli arcieri che la insidiavano raffiguravano i nemici del Vangelo.

Nel Rinascimento, la mitologia era ricorrente e Ercole, il più grande eroe greco, venne raffigurato durante le lotte individuali ingaggiate con i mostri e le belve scatenati contro di lui dalla malvagità degli dèi e delle dee. Le sue fatiche divennero il simbolo dello sforzo quotidiano dell’uomo contro la negatività dell’esistenza, contro tutto ciò che ostacola la piena affermazione della virtù. Figlio di uno dei tanti tradimenti di Giove (che lo concepì con la mortale Alemena), fu sempre perseguitato da Giunone, che stabilì che avrebbe potuto diventare un dio se avesse superato dieci (o dodici, a seconda delle versioni) “fatiche”, imprese eccezionali che nessuno era in grado di compiere. Cinque di queste hanno un carattere eminentemente venatorio.
La prima fu la lotta con il leone di Nemea, considerato invincibile perché aveva la pelle invulnerabile. Ercole riuscì ad avere ragione di lui perché lo soffocò nella stretta delle sue braccia.
La seconda fatica consisté nell’uccisione dell’idra di Lerna, un mostro con una testa immortale e altre che ricrescevano dopo essere state tagliate, che venne prima bruciata e poi schiacciata sotto un masso.
Successivamente, lo sfortunato eroe inseguì per un anno intero la cerva di Cerinea, che aveva i piedi di rame e le corna d’oro, e riuscì a catturarla.

L’enorme cinghiale di Erimanto, che devastava l’Elide e l’Arcadia, fu afferrato per le quattro zampe e trascinato davanti ad Euristeo, padrone e giudice delle prove. Venne catturato vivo anche il toro di Creta, che devastava l’isola.

Infine, ad Ercole-cacciatore fu riconosciuta la sua superiorità sui mortali.

Insomma ogni epoca e ogni cultura ha usato la caccia come forma di rappresentazione artistica e a seconda della preda cambia leggermente il significato. Ma il simbolo allegorico in generale non è mai cambiato nel corso del tempo.

In Sardegna ancora oggi si tessono scene di caccia sugli arazzi e noi di Srdn ci siamo innamorati di questo fantastico messaggio di forza e valore, perciò, ne abbiamo realizzato diversi elaborati artistici da riportare su felpe, abiti e t-shirt; ne abbiamo fatto persino dei tatuaggi.

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